Kufia, 100 matite per la Palestina | BLOG |

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Kufia | Visual blog for Palestine

A collection of images, artworks and words is opens to every contribute from world wide, collectives and individuals, as supporting tool to "Kufia project - 100 disegnatori per la Palestina" (100 illustrators for Palestine). The goal of these pages is the comparison, the harvest of ideas, projects that are supporting the palestinian struggle for self-determination.

You can add this project publishing your own artworks or words, spreading around the url, telling it to your friends.


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A visual blog for Palestine.
Questa raccolta di immagini e parole, aperta ai contributi di tutti gli utenti, gruppi e sensibilità diffuse, è un supporto al progetto Kufia, 100 disegnatori per la Palestina.
Lo scopo di queste pagine è il confronto, la raccolta di idee, spunti, progetti che sostengano la lotta di autodeterminazione del popolo palestinese.

Potete partecipare al progetto pubblicando le vostre immagini e parole, diffondendo questo url, parlandone con amici e invitandoli a partecipare e sostenere.

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Publish Archive The project Contacts Credits

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VITTIME

 Title: VITTIME
Name: gianluca costantini
Txt: Numero di vittime dall'inizio dell'intifada (28 settembre 2000). Dati aggiornati alle 16 del 15 settembre 2004. Tra le vittime palestinesi sono inclusi i kamikaze, mentre non sono conteggiate le persone accusate di collaborazionismo e uccise da altri palestinesi.
PALESTINESI 3.303
ISRAELIANI 943
ALTRE VITTIME 71
TOTALE 4.317

(Internazionale n°557 settembre

Url\Email: http://www.gianlucacostantini.com
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Anni fa.

 Title: Anni fa.
Name: Ubq
Txt: 18 settembre 1982- 18 settembre 2004
Sabra e Chatila

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La «Road Map» segregazionista di Sharon

 Title: La «Road Map» segregazionista di Sharon
Name: gianluca costantini
Txt: Strade palestinesi «distinte» da quelle dei coloni. Coi finanziamenti dei paesi donatori
MICHELE GIORGIO
GERUSALEMME
L'Autorità nazionale palestinese è spaccata sulla posizione da tenere alla prossima riunione dei paesi donatori prevista a fine mese a New York. L'incontro, convocato per assegnare nuovi fondi alla ricostruzione nei Territori occupati, rischia di concludersi con un nuovo colpo alle speranze palestinesi di fondare un loro stato, realmente sovrano, in Cisgiordania e Gaza con capitale Gerusalemme est. Il pericolo è reale ma i leader palestinesi, in particolare il presidente Yasser Arafat e il premier Abu Ala, continuano a darsi battaglia indebolendo ulteriormente l'Anp. La disputa è peraltro esplosa mentre a Gaza si continua a morire e il ministro degli esteri israeliano Silvan Shalom è tornato a minacciare apertamente Arafat affermando che la sua espulsione è «molto vicina». Quattro palestinesi, tra i quali un bambino di nove anni, sono stati uccisi in una vasta operazione avviata dall'esercito israeliano nel nord e nel sud della Striscia di Gaza, ufficialmente per fermare il lancio di razzi artigianali «Qassam» verso la cittadina di Sderot e le colonie ebraiche costruite su terre occupate. Secondo fonti di Gaza solo uno dei giovani palestinesi uccisi era un militante armato del movimento islamico Hamas. Un quinto palestinese, appena adolescente, è stato investito da una jeep israeliana all'ingresso del campo profughi di Al-Amari, vicino Ramallah (Cisgiordania), ed è morto in ospedale.

Secondo le indiscrezioni che circolano in questi giorni i rappresentanti dei paesi donatori si riuniranno a New York non sulla base della Road Map - il piano del Quartetto (Usa, Russia, Ue e Onu) che, sebbene sia palesemente favorevole a Israele, prevede un preciso «percorso» fatto di impegni e scadenze sia per il governo Sharon che per i palestinesi - invece del piano unilaterale del premier israeliano, che contempla il ritiro da Gaza entro il prossimo anno «compensato» dalla annessione a Israele di larghe porzioni di Cisgiordania. In particolare delle aree dove si concentrano gli insediamenti colonici, illegali per le risoluzioni e convenzioni internazionali.

Il piano di «disimpegno» di Sharon è stato di fatto adottato dall' amministrazione Bush lo scorso aprile quando il presidente americano consegnò al premier israeliano una lettera di garanzie che riconosceva la «impossibilità» per lo stato ebraico di rientrare entro le frontiere del 1949, precedenti alla occupazione dei Territori avvenuta nel 1967. A questo colpo alla legalità internazionale ne sono seguiti altri, come il recente riconoscimento americano della cosidetta «crescita naturale», ovvero l'espansione, delle colonie israeliane. Il prossimo potrebbe arrivare a fine mese. Il governo Sharon, riferiva domenica scorsa il quotidiano israeliano Haaretz, ha chiesto ai paesi donatori di investire i fondi anche in nuove strade per i palestinesi. Haaretz ha aggiunto che la richiesta, apparentemente meritevole, intende in realtà soddisfare da due necessità: costruire strade in sostituzione di quelle distrutte dal muro che Israele sta innalzando in Cisgiordania; creare una nuova rete stradale palestinese distinta da quella originaria che verrebbe parzialmente utilizzata solo dai coloni. E' chiaro che questo progetto presuppone un riconoscimento internazionale della realtà creata sul terreno dal muro che, esattamente due mesi fa, è stato dichiarato illegale dalla Corte di Giustizia dell'Aja. Non solo ma realizza nella Cisgiordania occupata sistemi di vita diversi per i coloni israeliani (appena 400 mila, inclusi quelli residenti a Gerusalemme est) e per i palestinesi (tre milioni), che ricordano da vicino quelli del Sudafrica razzista. I coloni percorrerebbero strade proibite invece ai palestinesi.

Schierata dietro gli scudi e le lance della «lotta al terrorismo», concentrata sulle sanguinose vicende irachene, la comunità internazionale segue distrattamente ciò che accade nei Territori occupati. Allo scopo di dare uno scossone a questo quadro poco rassicurante ed evidenziare il disappunto palestinese, Abu Ala avrebbe preferito non inviare rappresentanti dell'Anp alla riunione dei paesi donatori. Arafat invece sostiene l'importanza di partecipare, anche a condizioni sfavorevoli. Confinato da quasi tre anni a Ramallah, il presidente palestinese continua a mostrarsi flessibile agli occhi di Washington nella speranza di recuperare un ruolo riconosciuto sulla scena diplomatica. Non ha capito che Bush e Sharon non lo faranno mai. Secondo il resoconto degli ultimi eventi fatto dal Jerusalem Post, qualche giorno fa Arafat ha «ricordato» ad Abu Ala che «chi comanda è il presidente e non il primo ministro». Abu Ala ha minacciato le dimissioni, poi, come è già successo altre quattro volte nell'ultimo anno, ci ha ripensato. Ieri il premier è andato in Giordania. Al suo ritorno Arafat deciderà il futuro del suo governo. Circola già il nome del nuovo premier: Nasser Qidwa, rappresentante palestinese all'Onu e nipote del presidente.

Url\Email: http://www.ilmanifesto.it
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Campo profughi e kamikaze

 Title: Campo profughi e kamikaze
Name: jacklamotta
Txt: Il campo profughi è molto piccolo, controllato dal più potente esercito del mondo con le apparecchiature più sofisticate del mondo. Circondati da elicotteri apache e carri armati, l’unica cosa che possono fare contro a questa enorme macchina è farsi saltare in aria. Dei 23 kamikaze che si sono fatti esplodere a Jenin io ne conoscevo 6: nessuno era religioso, nessuno > cercava vergini nel cielo, ciò che li spinge è che preferiscono morire piuttosto che vivere come morti. Io credo che se i palestinesi avessero il Vietnam dietro di loro si comporterebbero come i Vietcong ma invece hanno intorno solo cemento, cemento muri muri, muri, muri, muri e muri una piccola quantità di esplosivo, chiodi, e si fanno saltare in aria, questo è quello che gli è rimasto.

> GIULIANO MER – regista israeliano, intervistato a Report, 10.09.04

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I muscoli del cervello

 Title: I muscoli del cervello
Name: Associazione Mirada
Txt: Crediamo che in un momento così drammatico ci sia necessità di non perdere la “forza” della RAGIONE: azioni terroristiche di un efferatezza inaudita come quelle di Beslan e dei ripetuti rapimenti e uccisioni in Iraq non devono farci perdere la fiducia nel dialogo e nelle azioni di mediazione.
Abbiamo sempre pensato che le ragioni della guerra e del conflitto portino semplicemente al radicamento e aumento della violenza e del dolore.
Pur provando rabbia e sconforto, la strategia della violenza che risponde a violenza ci conduce ad una situazione d’assedio in cui nessuno è più sicuro e tutti siamo ostaggi.
Crediamo che sia possibile attuare scelte che ci facciano uscire dal vortice di questa spirale: atti concreti, politiche di pace, percorsi che portino alla democrazia e al dialogo e facciano tacere le armi.
Perciò chiediamo:
il ritiro delle truppe italiane e la messa in atto di dispositivi e azioni positive per la ricostruzione dell’Iraq;
l’intervento delle Nazioni Unite in Iraq con mandato a creare presupposti per libere elezioni;
che le associazioni, i partiti, i gruppi e tutti coloro che operano per la pace si attivino per creare una rete di supporto e tutela per i militari italiani che desiderino opporsi al servizio in Iraq;
agli amici della società civile irachena di mettere a disposizione eventuali informazioni utili alla liberazione dei quattro operatori umanitari.


Elettra Stamboulis
Lisa Dradi

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